IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nella causa iscritta a ruolo
 il  30  luglio  1992  e  segnata  al  n.  r.g.  0650/1992,   discussa
 all'udienza  dell'8  gennaio  1993  promossa  dall'Istituto nazionale
 contro gli infortuni sul lavoro - I.N.A.I.L. in persona del direttore
 pro-tempore della sede di Firenze  2,  rappresentato  e  difeso,  per
 procura a margine del ricorso di primo grado, dall'avv. A. Ninci, via
 Bufalini, 7, Firenze, presso cui elegge domicilio, appellante, contro
 Bellesi  Silvano  rappresentato e difeso, per procura a margine della
 comparsa di costituzione in appello, dall'avv. M. Messina, borgo  SS.
 Apostoli,   8,  Firenze,  presso  il  cui  studio  elegge  domicilio,
 appellato,  avente  ad  oggetto:  rendita,  malattia   professionale,
 broncopneumopatia, appello.
    Nella  presente  causa  di appello si controverte sulla estinzione
 del diritto  alla  rendita  per  malattia  professionale  di  Bellesi
 Silvano per avere egli proposto l'azione giudiziaria oltre il termine
 prescrizionale  dell'art.  112  del  d.P.R.  30  giugno 1965, n. 1124
 (Testo unico  delle  disposizioni  per  l'assicurazione  obbligatoria
 contro  gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), in una
 fattispecie cosi' caratterizzata: denuncia di malattia  professionale
 24  agosto  1986;  raggiungimento del minimo indennizzabile 7 ottobre
 1987, secondo la valutazione del ctu medico  legale  di  primo  grado
 effettuata   il   29  novembre  1991;  esaurimento  del  procedimento
 amministrativo il 19 settembre 1989 (o 1990);  deposito  del  ricorso
 introduttivo del giudizio di primo grado 22 ottobre 1990.
    Si  verte  quindi  nella  seconda  ipotesi considerata nell'ultimo
 capoverso della sentenza Corte costituzionale 17-24 gennaio 1991,  n.
 31 (consolidamento del minimo indennizzabile in epoca successiva alla
 manifestazione).
    Il  pretore  di Firenze, con sentenza 29 aprile-12 maggio 1992, n.
 611, ha accolto la domanda del  Bellini,  ritenendo  che  il  termine
 triennale  di  prescrizione  di cui all'art. 112 del d.P.R. 30 giugno
 1965, n. 1124, come modificato da Corte costituzionale 8 luglio 1969,
 n. 116, inizi a decorrere dal 7 ottobre 1987; che tuttavia  esso  non
 scade  il  7  ottobre  1990,  perche' occorre calcolare il periodo di
 sospensione della prescrizione ex art. 111 del d.P.R. 30 giugno 1965,
 n. 1124; questo non puo' decorrere dalla data  di  denuncia,  perche'
 actioni nondum datae non prescribitur; si deve pertanto far decorrere
 dal  7  ottobre  1987, pervenendo cosi' a data successiva al deposito
 del  ricorso  giudiziario,  che  risulterebbe,  sulla  base  di  tale
 interpretazione, tempestivo.
    Il tribunale non ritiene tale tesi condivisibile.
    Secondo  il  sistema originario degli artt. 135, primo comma, 111,
 secondo e terzo comma, 112, primo comma, del d.P.R. 30  giugno  1965,
 n.   1124   (Testo   unico  delle  disposizioni  per  l'assicurazione
 obbligatoria  contro  gli  infortuni  sul  lavoro   e   le   malattie
 professionali),  la  malattia professionale si presume manifestata il
 giorno della denuncia; da questo momento inziano a decorrere  sia  il
 termine  prescrizionale  triennale  del  diritto,  sia  il termine di
 sospensione della prescrizione stessa per pendenza  del  procedimento
 amministrativo;  la sostensione comunque non puo' superare il periodo
 di  centocinquanta  giorni,  quale  che  sia  la   durata   dell'iter
 amministrativo  (giurisprudenza consolidata: da ultimo Cass. 14 marzo
 1991, n. 2662). Una  volta  svincolato  l'inizio  della  prescrizione
 della  denuncia  (Corte  costituzionale 8 luglio 1969, n. 116 e Corte
 costituzionale   11-25   febbraio   1988,   n.   206),   il   periodo
 prescrizionale  puo' svolgersi e maturare in una dimensione temporale
 senza  alcun   punto   di   interferenza   con   quella   dell'evento
 (procedimento  amministrativo  tuttora conseguente alla denuncia) che
 costituisce la causa di sospensione della prescrizione (nella  specie
 i  centocinquanta  giorni  di sospensione massima di cui all'art. 111
 del t.u. n. 1124, decorrenti dal  24  agosto  1986,  sono  totalmente
 trascorsi  al momento del raggiungimento del minimo indennizzabile, 7
 ottobre 1987, da cui inizia a decorrere la prescrizione).  In  questa
 nuova  dimensione  appare  giuridicamente  scorretto  applicare  alla
 prescrizione un istituto proprio della prescrizione  stessa,  la  sua
 sospensione dipendente da un evento che nella specie si e' verificato
 fuori  dal  periodo prescrizionale, anche se in tal caso e sotto tale
 profilo si riduce il periodo complessivo (tre anni  e  centocinquanta
 giorni)  che  l'assicurato  aveva  a  disposizione  prima di proporre
 azione giudiziaria.
    L'applicazione di quanto precede porterebbe alla  declaratoria  di
 estinzione   del  diritto  alla  rendita  del  Bellesi  per  avvenuta
 prescrizione, per motivi attinenti alla sua decorrenza.
    Tuttavia   ritiene   il   tribunale   che   l'assetto    normativo
 evolutivamente assunto dalla materia imponga di riproporre in termini
 e  sotto  profili  nuovi  la questione della prescrizione del diritto
 alla rendita per malattia professionale, non tanto sotto  il  profilo
 della  decorrenza,  oggetto di numerose recenti pronunce della Corte,
 quanto dell'oggetto stesso della prescrizione.
    A tale scopo e' necessario ripercorrere, sia pure per sommi  capi,
 le principali tappe dell'evoluzione normativa sul punto.
    Il  d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, aveva disegnato una disciplina
 organica, la cui coerenza poggiava su  alcuni  presupposti,  tra  cui
 principalmente  la  tassativita' del sistema tabellare, costituito da
 un insieme di presunzioni legali sulle tecnopatie  assicurate,  sulle
 attivita'  lavorative  morbiene  e  sui tempi di manifestazione delle
 tecnopatie in caso di abbandono della lavorazione tabellata.
    Tale sistema ha superato i primi vagli di costituzionalita', sulla
 base di una valutazione globale costi-benefici impliciti nel  sistema
 delle   presunzioni   legali  favorevole  per  il  lavoratore  (Corte
 costituzionale 4 luglio 1974, n. 206).
    Negli ultimi stessi anni veniva proposta alla Corte  eccezione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  112  del  t.u. n. 1124 nella
 parte in cui sancisce la prescrittibilita' non delle singole  pretese
 patrimoniali,  ma  del  diritto  in se' alla rendita. La Corte (Corte
 costituzionale 13 febbraio 1974, n.  33),  premesso  che  l'art.  38,
 secondo   comma,  attiene  all'adeguamento  dei  mezzi  di  carattere
 previdenziale alle esigenza di vita dell'infortunato,  piuttosto  che
 alle  modalita'  necessarie a conseguirli, a meno che esse siano tali
 da  comprometterne  il  conseguimento,  respingeva  l'eccezione   con
 motivazioni  basate  esclusivamente  sull'ottica tabellare: "La norma
 impugnata .. assolve a due esigenze  facenti  capo  all'I.N.A.I.L.  e
 all'assicurato:  quella  di  mettere  l'istituto in condizioni di dar
 corso alla procedura  di  accertamento  dell'indennizzabilita'  della
 malattia  professionale,  poco  tempo dopo che questa si sia di fatto
 manifestata, e quell'altra, propria  dell'assicurato,  di  conseguire
 con  prontezza  le  prestazioni,  tra  cui  la rendita per inabilita'
 permanente".
    Come ben noto, il sistema  tabellare,  oggetto  di  riserve  e  di
 sollecitazioni  gia'  nella  sentenza  n. 206/1974, e' stato superato
 (dopo   un   tentativo   di   soluzione   del   problema   attraverso
 l'arricchimento  della tabella di cui al d.P.R. n. 482/1975 e a Corte
 costituzionale 21 luglio 1981, n. 140) da Corte costituzionale  10-18
 febbraio  1988,  n.  179,  che  ha inciso, oltre l'esclusivita' della
 tabella,  anche  le   presunzioni   relative   al   periodo   massimo
 indennizzabile di cui all'art. 134 del t.u. n. 1124.
    Per quanto riguarda piu' da vicino il problema della prescrizione,
 oggetto   della   presente   causa,   posto   che,   per  consolidata
 giurisprudenza  (da  ultimo  Cass.  sentenza   n.   2662/1991   cit.)
 l'istituto   disciplinato   dall'art.   112   va   qualificato   come
 prescrizione e non come decadenza, i citati  interventi  della  Corte
 (cui  adde  Corte  costituzionale 11-25 febbraio 1988, n. 206 e Corte
 costituzionale 17-31 gennaio 1991, n. 31), pur quando hanno investito
 l'art. 112, primo comma, hanno inciso sulla nozione di manifestazione
 della malattia, ma hanno lasciato fermi i due principi cardine  della
 disposizione:
       a) decorrenza della prescrizione della manifestazione;
       b)  oggetto  della  prescrizione,  che attiene al diritto in se
 alla  rendita  per  malattia  professionale,  e  non  ai  soli  ratei
 pregressi.
   Sotto  il  primo  profilo,  la  Corte  ha  tenuto  fermi i principi
 essenziali della disciplina speciale della prescrizione  dei  diritti
 de  quo:  mentre per diritto comune e' irrilevante l'ignoranza, anche
 incolpevole, del diritto oggetto di prescrizione (art. 2935 del c.c.;
 Cass. 19 novembre 1985, n. 5682; Cass. 28 marzo 1988, n.  2604),  per
 le  prestazioni  previdenziali  previste  dal  t.u.  n.  1124  non e'
 sufficiente la mera insorgenza della malattia, ma occorre tuttora  la
 sua  manifestazione,  e  cioe'  un  dato  obbiettivo, estrinseco alla
 psiche dell'assicurato, di  cui  questi  possa  rendersi  consapevole
 (Corte costituzionale 17-31 gennaio 1991, n. 31: manifestazione della
 malattia "ogni emersione della malattia, per segni o per sintomi, che
 sia   univoca,   e   quindi  idonea  a  rendere  edotto  l'assicurato
 dell'esistenza  della  malattia  stessa   e   della   sua   incidenza
 sull'attitudine   lavorativa,   e  a  consentirgli  quindi  di  poter
 utilmente far valere il proprio diritto"; Cass. 15 gennaio  1990,  n.
 124:  "la manifestazione della malattia (va collocata) nel momento in
 cui uno, o piu' fatti concorrenti diano certezza dell'esistenza dello
 stato morboso  e  della  normale  conoscibilita'  di  esso  da  parte
 dell'assicurato,  cio'  che  generalmente coincide con l'accertamento
 medico  di  postumi   consolidati   e   definitivi   dell'incapacita'
 lavorativa determinata da tale stato").
    Il  quadro normativo che risulta da tali interventi, pur mirati ad
 evitare effetti pregiudiziali per l'assicurato che  possano  derivare
 sia  da  una  denuncia  intempestiva  rispetto  al raggiungimento del
 minimo indennizzabile (Corte costituzionale 8 luglio 1969,  n.  116);
 sia  da  una  denuncia tardiva rispetto ad una malattiva verificatasi
 nei termini tabellari (Corte costituzionale 11-25 febbraio  1988,  n.
 206),  non  appare al tribunale del tutto soddisfacente: la certezza,
 da parte dell'assicurato (Cass.  124/1990  cit.)  dell'esistenza  del
 diritto   azionabile   deve  sussistere  al  momento  iniziale  della
 decorrenza della prescrizione, e non puo' essere ricostruita ex  post
 o   derivare   da   un   accertamento  peritale,  sia  perche'  fatto
 intrinsecamente  invincibilmente  valutativo,  sia   perche'   spesso
 posteriore,  e  di  molto  tempo,  allo  stesso  maturare del termine
 prescrizionale.
    Se  l'ignoranza  del  lavoratore  non  puo' costituire ragione per
 privarlo per cio' solo di ogni indennizzo, perche'  cio'  rappresenta
 una  manifesta  violazione  del  principio  di  cui all'art. 38 della
 Costituzione (Corte costituzionale  11-25  febbraio  1988,  n.  206),
 appare  al  tribunale  che  renda  oltre modo gravoso l'esercizio del
 diritto  previdenziale  il  pretendere  dal  medesimo  lavoratore  di
 individuare   in  fatto,  in  un  processo  morboso  spesso  subdolo,
 progressivo, o remissivo, o ingravescente, il  punto  di  superamento
 del  minimo  indennizzabile  negli  stessi  termini  temporali di una
 successiva valutazione medico legale; o fargli carico, in diritto, in
 un quadro normativo complesso e frammentario, di avere  calcolato  in
 modo che il tribunale ritiene erroneo (ma che l'opposta decisione del
 pretore   rivela   problematico)   il  nuovo  rapporto  prescrizione-
 sospensione.
    Ne' si dica che l'accertamento peritale ha mero valore ricognitivo
 di  una  situazione  sanitaria  che  l'assicurato  aveva  l'onere  di
 conoscere,  perche'  i  frequenti  contrasti  tra  valutazioni medico
 legali di parte e d'ufficio, nello stesso ed in  succesivi  gradi  di
 giudizio,   manifesta   quale  inesigibile  certezza  divinatoria  si
 pretenda dall'assicurato. Sono noti peraltro i processi psicologi che
 portano persone di cultura anche elevata,  e  gli  stessi  medici,  a
 rimuovere  la  consapevolezza di processi morbosi, anche decisivi, in
 corso. Rimane infine  insufficientemente  approfondita,  anche  nella
 giurisprudenza, la rilevanza della certezza soggettiva della malattia
 o della conoscibilita' normale di essa (Cass. 124/1990 cit.).
    Di  tali  difficolta'  e'  consapevole  la stessa Corte, che trova
 adeguato  il  rimedio  dell'esperimento  successivo  di  piu'   cause
 previdenziali,   al  fine  di  evitare  la  maturazione  del  termine
 prescrizionale (sentenza n. 31/1991). Ma un sistema siffatto, a parte
 la  valutazione  di  conformita'  all'art.  97   della   Costituzione
 (riferito  alla organizzazione dello Stato nel suo complesso, che non
 puo' prevedere istituzionalmente l'eccesso di  ricorso,  in  funzione
 sostanzialmente interrogatoria, alla tutela giudiziaria) ha perso una
 delle  sue  giustificazioni  a  seguito della sopravvenuta abolizione
 della gratuita' delle cause previdenziali (art. 4, secondo comma, del
 d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito,  con  modificazioni,  in
 legge  14  novembre  1992,  n.  438). Si deve tener presente altresi'
 l'inammissibilita'  di  azioni  di  mero  accertamento  di   malattie
 professionali  di  grado  inferiore  al minimo indennizzabile (Cass.,
 sezioni unite, 29 novembre 1988, n. 6468).
    La questione non sembra allo stato risolvibile al di fuori  di  un
 organico intervento legislativo.
    Il  problema  e' drammatizzato a causa del secondo profilo, di cui
 sub b), in quanto l'art. 112 incide sulla prescrizione del diritto in
 radice, e non solo sui ratei maturati di  rendita  (Cass.  27  agosto
 1990,  n. 8793): su tale profilo il collegio focalizza l'eccezione di
 illegittimita' costituzionale.
    Cio' appare gravemente lesivo degli artt.  38,  secondo  comma,  e
 terzo della Costituzione.
    Infatti  il  diritto  a  rendita  per  malattia  professionale  e'
 tutelato   direttamente   dall'art.   38,   secondo   comma,    della
 Costituzione, ed e' di pari dignita' e tutela costituzionale di altri
 diritti   previdenziali   ugualmente   previsti  dalla  stessa  norma
 costituzionale, quali ad esempio il diritto a pensione e, come questo
 (Corte costituzionale 20 maggio-3 giugno 1992, n. 246),  deve  essere
 considerato imprescrittibile. In ossequio a tali principi si e' mosso
 di  recente  anche il legislatore (art. 6 del d.l. 29 marzo 1991, n.
 103, convertito, con modificazioni, in legge 1½ giugno 1991, n.  166,
 disposizioni  urgenti  in  materia  previdenziale,  che ha sancito il
 carattere sostanziale del termine di decadenza  per  l'esercizio  del
 diritto ai soli ratei di pensione arretrati).
    La  distinzione  concettuale  tra  pensione  e  rendita non ha mai
 costituito nel cennato  magistero  della  Corte  una  scriminante  di
 tutela  costituzionale, perche' anche la rendita infortunistica o per
 malattia professionale si  sostanzia  in  una  prestazione  periodica
 (art. 1861 del cod. civ.) vita natural durante o fino a revisione, di
 una somma di denaro, al fine di assicurare al lavoratore la tutela da
 un  rischio che trova nell'art. 38, secondo comma, della Costituzione
 fonte  e  garanzia,  alla  pari  delle  altre  forme  di  tutela  ivi
 menzionate.
    Se   dunque   l'estinzione   dell'intero  diritto  a  rendita  per
 prescrizione poteva trovare una qualche giustificazione  nel  sistema
 originario,  sia  per  la  valutazione  globale  costi-benefici sopra
 accennata, sia  specificamente,  nel  sistema  presuntivo  basato  su
 accertamenti   clinico-statistici,   sulla   difficolta'  di  provare
 l'eziologia professionale oltre  i  termini  temporali  di  cui  alla
 tabella  n.  4,  tali  valutazioni  sono divenute absolete nel quadro
 normativo attuale, in quanto basate su presupposti non piu' esistenti
 nella loro univocita' ed esclusivita'.
    Sotto altro profilo, gli interventi giurisprudenziali cennati, pur
 mirati a rendere effettiva la tutela  dell'art.  38,  secondo  comma,
 oltre  il  limite  segnato  dalle norme dichiarate illegittime, e pur
 avendo raggiunto tale risultato, hanno,  unitamente  ai  recentissimi
 interventi  legislativi, reso obiettivamente il quadro di riferimento
 per il lavoratore piu' complesso, problematico e gravoso (tra l'altro
 con l'abolizione della gratuita' delle cause e, spesso,  del  termine
 di  sospensione  della prescrizione) tale da poter compromettere, per
 meri ritardi spesso  incolpevoli,  il  conseguimento  del  diritto  a
 rendita costituzionalmente garantito.
    Appare  pertanto  a questo tribunale rilevante in causa (in quanto
 l'accoglimento dell'eccezione proposta porterebbe  alla  possibilita'
 di  accertare  il diritto alla rendita, con sacrificio solo dei ratei
 pregressi, e in parziale deroga dell'art. 74  del  t.u.,  nei  limiti
 della  prescrizione  maturata),  e  non  manifestamente infondata, la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 112, primo  comma,
 del  d.P.R.  30  giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni
 per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
 malattie professionali) nella parte in cui  commina  la  prescrizione
 per  il  diritto a conseguire le prestazioni previdenziali assicurate
 dal t.u. n. 1124, in specie per  la  malattia  professionale,  e  non
 limitatamente   ai   ratei   arretrati  maturati  anteriormente  alla
 richiesta amministrativa.  Le  norme  costituzionali  parametro  sono
 costituite,  come  argomentato,  dall'art.  38,  secondo comma, fonte
 diretta della tutela costituzionale della malattia professionale,  ed
 in  combinazione  con  l'art. 3, per la diversita' di trattamento con
 altri diritti tutelati dal medesimo art. 38, secondo comma, quali  il
 diritto  a  pensione,  pacificamente  considerati imprescrittibili in
 se', e salva la prescrizione dei ratei maturati.